L’Iraq sta attualmente vivendo una profonda crisi idrica, la quale potrebbe ulteriormente aggravarsi nel caso in cui non dovessero essere prese delle misure volte a rendere più sostenibile la gestione e l’utilizzo dell’acqua e ad assicurare alla popolazione un accesso più equo alla risorsa. Al fine di avere un quadro più completo sulla condizione di emergenza in Iraq e i possibili rischi per la sicurezza nazionale, è importante comprendere le principali ragioni del fenomeno, analizzando le criticità locali e l’influenza delle politiche degli attori regionali sull’attuale crisi irachena.
In Iraq le fonti di approvvigionamento della risorsa idrica sono costituite principalmente dai due fiumi transfrontalieri – Tigri ed Eufrate – e dai relativi affluenti, che scorrono da nord a sud del territorio nazionale, confluendo nello Shatt al-Arab, fiume della regione mediorientale al confine con l’Iran, che sfocia nel Golfo Persico. Tuttavia, negli ultimi anni la portata dei corsi d’acqua si è ridotta notevolmente, generando una profonda crisi, dovuta soprattutto all’assenza di politiche nazionali efficienti, in grado di contrastare gli effetti negativi del riscaldamento globale e dell’aumento demografico, ragioni principali dello stress idrico. Nel paese, infatti, si registra un aumento delle temperature in media di 0,7°C rispetto al secolo scorso e un generale calo delle precipitazioni, oramai quasi esclusivamente concentrate nelle regioni settentrionali. Pertanto, anche altri fenomeni come l’evaporazione dell’acqua e la desertificazione rendono ancora meno accessibile la risorsa a una popolazione in costante aumento.
Nel paese l’acqua fluviale è utilizzata principalmente nel settore agricolo per l’irrigazione delle colture, che tuttora avviene attraverso l’impiego di sistemi e metodi considerati obsoleti determinando così un rischio ulteriore per la crisi idrica, secondo uno studio condotto dalla FAO nel 2020. Infatti, il metodo tradizionale di irrigazione adottato nel paese consiste nella completa inondazione dei terreni: una pratica che richiede il consumo di ingenti quantità di acqua, che tuttavia non può essere canalizzata, depurata e riutilizzata adeguatamente per l’assenza di infrastrutture idriche idonee.
La causa principale di questa condizione si riscontra nella mancata implementazione di politiche volte alla manutenzione e all’ammodernamento delle infrastrutture idriche nazionali e alla gestione più sostenibile della risorsa. Relativamente alla costruzione di sistemi di gestione preventiva del rischio idrogeologico, negli anni Cinquanta del Novecento l’Iraq avviò alcuni progetti per la costruzione di infrastrutture che avrebbero dovuto garantire sicurezza a Baghdad e ad altre città irachene. Infatti, la prima diga – Dukan – fu costruita nel 1959 sul fiume Tigri e consentì al paese di gestire gradualmente la distribuzione della risorsa sul territorio nazionale.
Tuttavia, negli anni successivi furono sospese le operazioni di costruzione e manutenzione delle infrastrutture, successivamente compromesse a seguito dei bombardamenti durante le Guerre del Golfo, delle sanzioni imposte dall’Organizzazione delle nazioni unite e, infine, delle attività terroristiche dello Stato islamico (Isis). Proprio tra il 2014 e il 2017 l’Isis utilizzò la risorsa idrica come arma per raggiungere i propri scopi politici e colpire obiettivi militari dei suoi nemici attraverso l’inondazione (Falluja Dam), il trattenimento e la contaminazione dell’acqua.
Gli eventi storici menzionati e la corruzione dilagante tra l’élite politica nazionale non permettono tuttora l’implementazione di diverse leggi, emanate nel corso degli anni da Baghdad allo scopo di consentire una corretta gestione e un utilizzo più sostenibile dell’acqua. Queste prevedono ad esempio il trattamento dell’acqua con il cloro per la rimozione di agenti patogeni, analisi periodiche di alcuni campioni della risorsa e il divieto di scarico di sostanze di scarto nei fiumi e nei corsi d’acqua dolce (in linea con la Law No 27 of 2009 for Protection and Improvement of Environment).
Oltre alle evidenti criticità nazionali, anche le politiche di attori regionali – Turchia e Iran – hanno un impatto notevole sull’emergenza idrica in Iraq, paese collocato geograficamente più a valle rispetto ai suoi vicini. Infatti, le principali fonti irachene di approvvigionamento d’acqua – i fiumi Tigri ed Eufrate – hanno origine in Turchia, mentre altri affluenti importanti scorrono invece dal vicino Iran, come il Dayala, o Sirwan in curdo. Pertanto, la costruzione di infrastrutture per la gestione dei corsi d’acqua nei due paesi determina un’ulteriore riduzione della portata dei fiumi in Iraq. In particolare, il più grande progetto infrastrutturale turco, il Southeastern Anatolia Project (GAP), che consiste nella costruzione di 22 dighe sui fiumi Tigri ed Eufrate e di 19 centrali idroelettriche, ha limitato notevolmente la quantità d’acqua fluviale in Siria e in Iraq. Il progetto è stato infatti aspramente criticato dai due paesi, secondo i quali Ankara non avrebbe dichiarato le intenzioni del progetto, mettendo a rischio la condizione di sicurezza dei due paesi.
Nonostante le controversie regionali, negli ultimi anni i vertici turchi e iraniani hanno continuato a implementare e a incrementare il numero di dighe sui corsi d’acqua, con l’obiettivo di contenere anche sui propri territori gli effetti negativi del riscaldamento globale e dell’aumento demografico. Nel 2018, infatti, sono state ultimate la diga turca Ilisu Dam e quella iraniana Daryan Dam, che hanno contribuito ad aggravare la crisi idrica in Iraq, limitando la portata del fiume Tigri e dell’affluente Dayala.
A seguito di numerose proteste nazionali e internazionali, nel 2021 la Turchia ha siglato un memorandum d’intesa con la controparte irachena per una gestione più equa della risorsa idrica a vantaggio di Baghdad. Al contrario, Teheran si sottrae al dialogo sulla questione idrica, un atteggiamento che potrebbe essere spiegato con la volontà iraniana di esercitare un altro tipo di influenza su Baghdad, mantenendo costante lo status iracheno di weak client State. Infatti, a causa dell’emergenza idrica, l’Iraq è costretto a importare dal paese vicino anche prodotti agricoli: nel 2016, l’esportazione dei prodotti agricoli iraniani verso l’Iraq ha rappresentato il 30% del totale.
Secondo Human Rights Watch, la popolazione di Bassora risulta tra le più colpite dall’inefficienza delle politiche locali e da quelle degli attori regionali sulla gestione dell’acqua fluviale. In particolare, l’assenza di impianti di desalinizzazione e depurazione della risorsa nelle regioni più settentrionali del paese ha causato negli ultimi anni l’ingresso di acqua contaminata e con un’elevata concentrazione di sale nello Shatt al-Arab, principale fonte per l’irrigazione delle colture e per l’allevamento del bestiame. Pertanto, l’emergenza idrica produce delle condizioni di precarietà e forte rischio per la sicurezza della popolazione irachena, soprattutto nella regione meridionale del paese, costretta all’emigrazione in assenza di garanzie sulla stabilità del proprio reddito e di un equo accesso alla risorsa idrica. Difatti, dal momento che le regioni collocate più a nord del paese risentono per prime degli effetti delle politiche degli attori regionali, quest’ultime hanno avviato progetti di gestione autonoma delle infrastrutture idriche, come nel caso del Kurdistan iracheno. Questa condizione comporta una ulteriore riduzione della portata dello Shatt al-Arab (già contaminato), e dunque un calo nella produzione agricola, soprattutto di cereali, la perdita di capi di bestiame, una riduzione notevole delle Paludi della Mesopotamia (regione più fertile del paese e patrimonio dell’UNESCO) e rischi per la sicurezza della popolazione a causa della pessima qualità dell’acqua potabile – a questo proposito, solo nel 2018 si sono registrate circa 118.000 ospedalizzazioni.
Oltre alla crisi umanitaria, la condizione di precarietà generale e gestione autonoma di infrastrutture idriche nel nord del paese potrebbero provocare anche tensioni sociali tra Erbil e Baghdad o Bassora, dal momento che in tutto il paese sono già attivi dei movimenti di protesta, che sottolineano l’assenza di un’equa distribuzione della risorsa idrica sul territorio nazionale, la mancanza di politiche locali per la risoluzione dell’emergenza e la minaccia di quelle degli attori regionali per la sicurezza nazionale. Allo stato attuale, benché siano evidenti una serie di fattori di rischio per lo scoppio di tensioni tra Iraq e Iran data la mancata cooperazione sulla questione, è improbabile che ciò si verifichi a causa della condizione di dipendenza di Baghdad dalle importazioni di commodity da Teheran e per la generale influenza iraniana nel paese. Nel lungo periodo, tuttavia, qualora l’Iran si dovesse dimostrare ancora insofferente alla questione e l’Iraq non riuscisse a implementare politiche più efficienti di gestione dell’acqua, l’attuale emergenza potrebbe rivelarsi una minaccia per la stabilità politico-sociale interna e regionale.
Maria Grazia Stefanelli